L’impegno (la scrittura secondo Raymond Carver)

da | 29 Set 2015

In questo terzo appuntamento analizziamo i pensieri di Raymond Carver sull’impegno nella scrittura, su quello che potremmo definire mestiere. Qual è la differenza fra la scrittura di un semplice uomo che scrive e quella di uno scrittore?
Cos’è che ci affascina e rende credibile una prosa, quanto di ciò può essere frutto di manovalanza e quanto invece è innato? Già in passato ho parlato del rapporto lavoro/talento, il mix vincente in quali proporzioni è secondo Carver?

La difficoltà della semplicità

L’arte va fatta sembrare spontanea, ma richiede un certo sforzo

È difficile essere semplici. La lingua dei miei racconti è la lingua che la gente parla tutti i giorni, ma è anche una prosa su cui bisogna lavorare molto per farla sembrare trasparente. E questa non è affatto una contraddizione in termini

La difficoltà della semplicitàGià nella prima semplice frase abbiamo una risposta molto significativa: la bravura è anche quella di nascondere il trucco. Se è vero che nel linguaggio parlato possiamo trovare la spontaneità, è altrettanto vero che potremo trovarci poco altro, ecco perché per fare un buon lavoro non è sufficiente trascrivere un dialogo così com’è. Per ottenere una prosa semplice si deve lavorare parecchio, la tentazione di stupire con i fuochi artificiali è sempre dietro l’angolo, ma quella non è spontaneità.

La cosa più importante

Gli scrittori scrivono, scrivono e continuano a scrivere, in qualche caso, anche dopo che la saggezza e perfino il buon senso gli raccomandano di smettere di farlo. Ci sono sempre molti motivi – anche buoni motivi, importanti – per smettere, o per non scrivere più tanto seriamente. (Scrivere è un problema, non vi illudete, per tutti quelli che vi sono coinvolti, e chi non farebbe a meno dei problemi?) Ma ogni tanto arriva il lampo di genio e qualche volta succede abbastanza presto nella vita di uno scrittore. A volte arriva in seguito, dopo anni e anni di lavoro. E a volte, il più delle volte, naturalmente, non arriva mai. La cosa strana, a quanto pare, è che può toccare ad autori per cui proviamo una totale antipatia, un fatto che, quando capita, ci fa dubitare che al mondo ci sia giustizia. (Infatti il più delle volta non c’è.) Può venire all’uomo o alla donna di cui siamo o siamo stati amici, quello che beveva troppo o che non beveva affatto, che è scappato con la moglie o il marito o la sorella di qualcun altro, dopo una festa alla quale eravamo invitati anche noi. Al giovane scrittore che in classe sedeva all’ultima fila e che non apriva mai bocca. Quel tonto, pensavamo. Allo scrittore che neanche nelle più sfrenate fantasie sarebbe riuscito a piazzarsi fra i possibili candidati ai primi dieci posti di una qualche classifica. A volte succede. Al cavallo meno favorito. I fulmini arrivano o non arrivano. (Naturalmente, è più divertente quando arrivano.) Ma non succederà mai e poi mai a quelli che non ci lavorano sodo e che non considerano l’atto della scrittura quasi come la cosa più importante della loro vita, insieme al respiro, al cibo, a un tetto, all’amore e a Dio.

La cosa più importanteQua Carver è molto chiaro: bisogna lavorare sodo. Senza mezzi termini, senza scorciatoie: il lavoro dello scrittore non prevede martelli, lime, vanghe, trapani… ma non per questo l’impegno deve essere minore di qualsiasi altro vero lavoro. E il reale premio è solo quello di riuscirci bene. Non è detto che si potrà avere onore e gloria, né riconoscimenti, né denaro. Se mi concedete la battuta, è una specie di maledizione. Dicevamo qualcosa di molto simile anche nel brano Lavorare sodo durante l’analisi del processo creativo di Carver: uno scrittore deve sempre dare tutto se stesso.

Dritto al sodo

Non vado in giro tutto il giorno con una serie di storie che mi ronzano per la testa. Ma quando mi siedo a lavorare ho qualcosa in mente e di solito non perdo tanto tempo. Vado dritto al sodo.

Dritto al sodoPer quanto mi riguarda, il tempo in cui penso alle mie storie è in un rapporto di dieci contro uno rispetto a quello in cui impugno la matita. Solitamente il pensiero lavora ipotizzando scenari, scarta ipotesi, così quando mi siedo sapendo che cosa ho intenzione di scrivere… comunque cambio sempre qualcosa e il risultato finale non è mai come lo avevo pensato all’inizio. In pratica l’opposto di quello che dice Carver!

La passione

Quando lavoro su un racconto, ci lavoro giorno e notte. A volte non so nemmeno che giorno è della settimana. E quando non lavoro, prendo subito un sacco di brutte abitudini: sto alzato fino a tardi, guardo la TV, dormo tutta la mattina. Direi che lavoro a sbalzi, a periodi.

La passioneQuesto spunto è dedicato a chi pensa che il lavoro non nobiliti! Scherzi a parte, quando il proprio lavoro e la propria passione coincidono, ecco quel che accade quando vengono meno: senso di smarrimento, di impotenza, noia, inedia. Il più delle volte è la semplice passione a ngerci a impugnare la penna.

E voi quando scrivete lo sentite il fuoco della passione, quello spirito guerrier ch’entro mi rugge? Riuscite a impegnarvi come se davvero da questo dipendesse ogni altra cosa? E i risultati sono soddisfacenti? Quanto credete che questi dipendano dal vostro talento e quanto dal vostro lavoro di manovalanza?

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Ariano Geta
9 anni fa

Personalmente non sento un fuoco dentro, neppure credo di aver raggiunto una saggezza scrittoria… Semplicemente, ci sono dei momenti in cui qualcosa mi pesa in testa, mi sento inquieto, delle immagini e delle situazioni mi si formano quasi spontaneamente.
A quel punto inizia la fase di creazione preventiva: chi, dove, quando… delineare personaggi definiti, concepire scenari credibili…
Quando passo alla fase tre (la scrittura in senso stretto) cado in una sorta di trance, tanto è vero che quando termino la sessione di lavoro mi sento sollevato, quasi mi fossi liberato di quell’inquietudine che mi tormentava nel periodo precedente.
La fase quattro – riscrittura e editing – diventa quasi una mansione da ufficio, quei servizi che fai più con senso del dovere che non per tuo piacere.
Tutto questo in genere si consuma nello spazio di qualche mese, quindi intersecandosi con le tante situazioni del quotidiano ma restando una sorta di elemento a se stante del mio umore.
Risultati? Dipende. Certe volte sono molto soddisfatto e quando rileggo la stesura definitiva respiro lentamente con un certo compiacimento. Altre volte percepisco l’inadeguatezza del risultato finale e – ciò che è peggio – sono consapevole che non riuscirò a migliorarlo in nessun modo.

Marina
9 anni fa

Ormai mi capita sempre più spesso di pensare e scrivere post complementari ad altri che escono in contemporanea : questo è uno di quei casi. Lo hai notato anche tu che oggi ho fatto un discorso analogo a questo tuo e c’è un tuo commento che aspetta la mia moderazione 🙂
E comunque, a me piacerebbe potere stare seduta ore e ore a scrivere perché rapita dal sacro fuoco dell’ispirazione, ma il tempo è l’unico elemento necessario che mi manca e tutto diventa occasionale, compresa la mia passione per la scrittura. 🙁
È interessante pensare un grande scrittore come Carver che si spanza davanti alla tv quando non scrive; no, io ho delle efficaci alternative che mi fanno sentire meno il peso di non potere mettere mano a carta e penna.

Tenar
9 anni fa

Sono molto d’accordo con Carver quando dice che la scrittura deve nascondere il lavoro che c’è dietro. Alla fine funziona così in tutte le performance. Guardiamo una ginnasta alle olimpiadi. Sorride, sembra leggera come una farfalla, sembra tutto facile. Il fatto che si sia ammazzata di lavoro per anni non si deve notare. Credo che per la scrittura debba funzionare allo stesso modo. Alla fine la prosa deve fluire come l’acqua di un ruscello, come apparente spontaneità. Senza far vedere tutto il lavoro che nasconde…