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Prosegue l’approfondimento dei pensieri di Raymond Carver su scrittura & affini, dopo aver analizzato il processo creativo è ora il turno di un altro tema molto caro agli scrittori di ogni foggia e colore: l’incipit.
incipit ‹ìnčipit› v. lat. [3a pers. sing. dell’indic. pres. di incipĕre «incominciare»; quindi propr. «incomincia»], usato in ital. come s. m. – Nei manoscritti e nelle prime stampe, parola iniziale della formula che si poneva di solito al principio di un’opera, o di parte di essa, con le indicazioni del titolo e del nome dell’autore: Incipit liber primus de remediis utriusque fortune Francisci Petrarche. Nell’uso filologico e bibliografico il termine, usato come s. m., introduce invece e indica la citazione delle parole iniziali di un testo, citazione che, da sola o insieme con l’explicit (v.), serve a individuarlo chiaramente, soprattutto quando si abbia una serie di testi contenuti in un unico manoscritto. Più genericam., l’incipit, le parole iniziali di un testo, di un canto, e anche, in un brano strumentale, le note o le battute iniziali.
Vocabolario Treccani
Come già spiegavo parlando di pagina 69, possiamo considerare l’incipit di un libro come il suo biglietto da visita, un testo che si spera convinca il lettore a proseguire… e quando dico si spera naturalmente intendo si deve fare carte false per riuscirci!
Per esteso, l’incipit non è formato solo dalla prima frase (a effetto) o dai primi paragrafi, potrebbe essere tutto il primo capitolo o la prima decina di pagine, insomma quanto basta per introdurre il lettore nella storia: è il punto di riferimento del racconto, è il piccone per abbattere il muro fra il mondo reale e quello immaginario. Scopriamo che cosa pensava dell’incipit un maestro della scrittura come Carver:
Incipit: la prima riga
Comincio con la prima riga. In genere è quella prima riga a saltarmi in mente, e tutto il resto di norma è soggetto a cambiare, tranne la prima riga, che solitamente resta uguale. E non so dire da dove venga quella prima riga. A volte nasce da un’immagine, da qualcosa che ho in testa, o semplicemente da una frase che mi svolazza nel cervello. E quella finisce sulla pagina.
Che Carver non cambiasse mai (o quasi) l’inizio dei suoi racconti lo avevamo già scoperto la volta scorsa, scelta personalissima e forse dettata da una capacità superiore di partire con il piede giusto. Per quanto mi riguarda, nulla è immutabile!
I primi due paragrafi
L’inizio di un racconto è molto importante. Sono le righe di apertura che ne determinano il successo o il fallimento. Gli editor hanno tanti di quei manoscritti da leggere che spesso, a meno che non si tratti di un autore che conoscono, si limitano a dare un’occhiata ai primi due paragrafi.
Potrà sembrare ingiusto, crudele anche, ma è la verità. E se gli editor sono i primi a rifarsi a questo modello è proprio perché è così che si comporta il possibile acquirente: bisogna piacere, e bisogna piacere subito. La pena non sarà un giudizio negativo, ma la mancata presa in considerazione per la pubblicazione, che è molto peggio.
Il salto rapido
Mi piace il salto rapido di un buon racconto, l’emozione che spesso comincia già nella prima frase, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei migliori esemplari.
Succede quando l’incipit è genuino, non una trappola per lettori. Proseguire da lì, quando si è particolarmente in vena, dà un piacere ancora maggiore del solito e ci si scopre affascinati da quanto si sta scrivendo. Spesso non è sufficiente per scrivere qualcosa di buono già al primo tentativo, ma di certo è d’aiuto per lavorare bene.
Il desiderio impellente
Comincio ogni mio racconto con un desiderio impellente di scriverlo, ma non so mai bene dove vada. In genere scopro cosa voglio dire proprio nell’atto di dirlo.
Si comincia a scrivere. A volte non si sa cosa si sta cercando di dire in quel racconto finché non si arriva alla fine di una frase, e tutt’a un tratto si capisce dove sta andando la storia. Si deve semplicemente scoprirlo strada facendo. Poi, quando si è finita quella prima stesura, si torna all’inizio
Si tratta di una versione rivisitata dell’idea che i racconti si scrivano da sè (ne abbiamo parlato anche nel primo appuntamento), una forma di desiderio inconscio che guida la penna nella stesura di un racconto, frutto di passione, talento e molto lavoro.
Se l’incipit nasce da questo sarà probabilmente molto ispirato, ma altrettanto bisognoso di aggiustamenti: raramente da un desiderio impellente nasce qualcosa dai curato nei dettagli, il momento di tornare all’inizio è quello in cui comincia il lavoro vero.
Inizio vicino a fine
Quasi tutti i miei racconti cominciano piuttosto vicino alla fine dell’arco del conflitto drammatico. Non fornisco tanti dettagli su quello che è successo prima. Semplicemente, comincio abbastanza vicino alla fine dello sviluppo dell’azione.
Anche Vonnegut diceva qualcosa di simile: inizia quanto più possibile vicino alla fine. L’incipit deve essere qualcosa di fresco, che scaraventi il lettore al centro dell’azione, molto spesso noiosi preamboli necessari… non sono necessari!
Il finale
Insieme all’inizio, il finale è sicuramente la parte più importante, più fondamentale, delle poesie e dei racconti. Non direi che i finali mi abbiano dato più problemi – più filo da torcere – delle altre parti dei miei racconti, ma devono essere rifiniti alla perfezione. Spesso è l’ultima riga o l’ultima parola di una poesia o di un racconto a commuovere il lettore in una certa maniera, ad assumere un significato particolare.
Se l’incipit può essere utile per farsi leggere, il finale lo è per farsi ricordare; questo però non è un invito a tralasciare la parte centrale del racconto, naturalmente. Lo scrittore deve essere coerente con se stesso e fare un buon lavoro; potrà dedicare un po’ più di attenzione all’incipit per ragioni di pagnotta ma non ci si dovrà spaccare la testa, perché una parte centrale mediocre farà perdere tutti i punti guadagnati dai fuochi artificiali di apertura.
Rielaborando un vecchio adagio: i trucchetti hanno le gambe corte.
Voi che cosa ne pensate? L’utilizzo consapevole dell’incipit è più utile a chi scrive o a chi legge? Quali sono i vostri incipit preferiti?
Come lettrice io do molta importante all’incipit. Ma di solito a colpirmi (o non colpirmi) non è tanto il contenuto quanto la voce dell’autore e l’atmosfera della storia. Si potrebbe dire quindi che mi basta qualche frase, anche aprendo a caso il libro, per capire se sono in sintonia o no con chi scrive.
Mi ha molto incuriosito il consiglio di Carver di iniziare “piuttosto vicino alla fine dell’arco del conflitto drammatico”. Quando scrivo un romanzo a me piace costruire il conflitto con gradualità, ma potrebbe essermi utile provare ad applicare questo principio.
Comunque, questa serie di post mi sembra interessante , ora cerco di recuperare le puntate precedenti 🙂
Non preoccuparti, questa è solo la seconda 🙂
Il piano editoriale per questa rubrica prevede 13 post, ma dipenderà dal riscontro che avranno sui lettori.
Anch’io sono spesso colpito da qualcosa di diverso del contenuto: do molta importanza sia al linguaggio che al ritmo della narrazione!
Se può valere qualcosa, io voto per i 13 post!!!
Grazie per la fiducia e benvenuto 🙂
L’incipit è importante, vero, perché è quello che introduce il lettore dentro la storia che poi potrà corrispondere alle aspettative o deludere, tuttavia non sempre a incipit buono corrisponde un prosieguo degno e viceversa. L’editor ha un mare di manoscritti da esaminare, però per scremare la massa dovrebbe spingersi un po’ più in là delle semplici dieci righe. Certo, se poi, già nella pagina iniziale, si imbatte in cose illeggibili… quello è un altro paio di maniche!
Dovrebbe adottare una tecnica mista, come leggere una pagina ogni 10 o aprire il libro a una pagina a caso e leggere quella 🙂
Hai letto della “teoria” di pagina 69?
No, non mi ero soffermata. Ma l’ho fatto adesso. Certo, un po’ bizzarra questa trovata: piombare nel bel mezzo di una storia confonde le idee più che orientarle, però ha anche il suo fascino. Io, leggendo le tue tre pagine ho capito che scrivi bene e che la storia potenzialmente racconta qualcosa di interessante…
Ah, ho capito! Lo hai fatto apposta per indurmi a leggerlo tutto, il tuo libro! 😉
Grazie per gli elogi, e ora che sei caduta in trappola è troppo tardi per fuggire 😀
Scherzi a parte, compralo pure.
Scherzi a parte sul serio 🙂 piombare nel bel mezzo della storia, come dici tu, non ti permetterà di capire un bel niente della trama (ma in fondo anche leggendo l’inizio potrebbe accadere lo stesso) ma ti potresti fare un’idea piuttosto precisa del linguaggio, del tenore e del ritmo… certo dipende da quel che uno cerca, ma per me sono tutti elementi molto importanti.
C’è poco da fare, raramente Carver sbaglia, quando parla di scrittura.
A me piacerebbe scrivere incipit perfetti, anche se raramente mi riesce. Ce ne sono un paio, tuttavia, che non mi dispiacciono
Un paio di incipit tuoi, dici? E sono segreti oppure ce li puoi dire? 🙂
Cito: “Gli editor hanno tanti di quei manoscritti da leggere che spesso, a meno che non si tratti di un autore che conoscono, si limitano a dare un’occhiata ai primi due paragrafi”. Questo si che è inquietante!
Purtroppo è la verità nuda e cruda… e ne so qualcosa io!
L’incipit, per me, costituisce sempre uno scoglio su cui ci sbatto la testa per giorni senza che riesca a farmelo piacere. Così lo cambio e lo ricambio… Mi piacerebbe tanto che la prima frase rimanesse quella per sempre!
Nel mio caso, non è una frase a scatenare tutto ma un personaggio, di solito senza nome e senza volto, che si sbraccia per raccontare la sua storia.
Come lettrice, invece, tendo a trascurare l’incipit.
Io sono una di quelle persone che, prima di comprare un libro, salta subito alle ultime dieci pagine.
Online, su siti come Amazon, l’incipit è (quasi) sempre disponibile, la conclusione mai, ragion per cui preferisco comprare in libreria.
Se tenessi un quaderno con tutti gli incipit che mi vengono in mente durante la giornata, avrei sufficiente materiale per una pubblicazione 😉
In realtà non mi va di distogliermi dalla stesura del nuovo romanzo, per cui se dovesse capitarmi un incipit davvero tosto sono sicuro che si ergerebbe dal mucchio 🙂
Per quanto riguarda il personaggio senza volto, devo dire che non mi sono mai soffermato più di tanto sui lineamenti del viso dei miei personaggi: esclusi i principali, dove la storia non lo richiede non mi sono mai fatto un’immagine mentale dei loro volti!
Lo chiedo anche a te: hai letto l’articolo su “Pagina 69”, proprio sul tema di evitare di leggere gli incipit per farsi un’idea di un libro? 🙂
Da accanita lettrice di fumetti, per me il volto del personaggio è fondamentale. Poi magari non lo descrivo, eccetto qualche tratto distintivo, però ho bisogno di conoscerlo (non di rado, durante la scrittura, disegno i miei personaggi).
Sì, ho letto anche l’articolo della pagina 69. Il motivo per cui non mi piace leggere l’incipit è proprio perché non permette di elaborare un pensiero obiettivo sul testo. Di solito, se ho tanto tempo da trascorrere in libreria, leggo anche qualche pagina centrale (non necessariamente la 69), però sempre e comunque accompagnata dal finale, a causa di “malattie mentali personali” 🙂
Purtroppo quella è una malattia incurabile 😀
Mi piacerebbe saper disegnare bene, probabilmente allora anch’io disegnerei dei ritratti dei miei personaggi. Al momento mi limito a una serie di schede descrittive 🙂
Anche per me, come Maria Teresa, nell’incipit è importante l’atmosfera che percepisco della storia, è quella che mi fa scattare la voglia di comprare il libro.
Quindi lo stile dell’autore può farti capire se il libro ti piacerà più della trama in quarta di copertina?
Mi interessa la trama, ma dall’atmosfera che percepisco capisco se un libro mi può piacere al di là della trama. Certo se è una trama troppo lontana dai miei interessi e gusti può darsi che non basti.
Direi che sono i miei stessi criteri 😉
Degli incipit di Carver, quello che preferisco è Io un lavoro ce lo avevo e Patty no. Dal racconto Vitamine