Cuore di cane – Michail Bulgakov (citazioni)

da | 18 Feb 2015

Cuore di cane - Mikhail BulgakovCuore di cane è uno dei romanzi che ai tempi della scuola mi sono stati imposti dai professori e che – ovviamente – allora non ho minimamente preso in considerazione… infatti l’ho letto solo in età adulta (proprio come per I promessi sposi).
Peccato che non mi sia ravveduto prima, perché si tratta di un libro veramente intelligente e ricco di ironia (l’innocente inconsapevolezza del protagonista invischiato nelle sue sventure, le sue soluzioni di spirito e – in generale – l’aria tragicomica che si respira all’inizio del romanzo mi hanno ricordato i primi episodi della saga del Ragionier Fantozzi).
Protagonisti il cane Pallino alias cittadino Pallini Poligràf Poligràfovič, il professor Filìppovič e il suo assistente dottor Bormentàl’ in una sorta di moderno Frankenstein (Cuore di cane è del 1925, cioè 107 anni dopo le avventure del moderno Prometeo.
Per farvi un’idea di quanto detto scorrete pure con calma l’elenco delle mie sottolineature dal romanzo di Bulgakov.

Citazioni da Cuore di cane

Pagina 2 | Pos. 19-20

Mica mando sul lastrico il Consiglio dell’Economia Nazionale, se frugo un po’ col muso nella pattumiera, no?

Pagina 2 | Pos. 21-22

adesso è buio, saranno pressappoco le quattro del pomeriggio, se si giudica dall’odore di cipolla che viene dalla caserma dei pompieri

Pagina 2 | Pos. 31-32

Ho provato di tutto, accetto la mia sorte, e se ora piango, è soltanto per il dolore fisico e per il freddo, perché il mio spirito non si è ancora spento…

Pagina 3 | Pos. 40-42

Quando un cane è malato, quello che conta è mangiare un boccone: i vecchi cani dicono che Vlas ti poteva gettare un osso e, magari, anche un po’ di carne. Gli auguro un bel posto in paradiso. Vlas era un vero uomo, era un cuoco da signori: serviva dai conti Tolstoj

Pagina 4 | Pos. 49-50

Quaranta copechi per due portate che messe insieme non ne valgono neanche quindici: gli altri venticinque, è chiaro, se l’è intascati l’economo.

Pagina 4 | Pos. 55-56

Adesso è venuto il mio turno. Sono diventato Presidente, e tutto quello che rubo voglio spendermelo in donne, code di gamberi e champagne.

Pagina 5 | Pos. 69-71

mi ha chiamato Pallino! Pallino un corno! Pallino è rotondo e ben pasciuto, stupido, mangia la polenta d’avena ed è figlio di nobili genitori; io invece sono uno spilungone irsuto e spelacchiato, e per giunta vagabondo senza fissa dimora… Comunque, grazie per la buona parola.»

Pagina 5 | Pos. 75-78

Ma gli occhi: lì non si sbaglia, sia che li guardi da vicino che da lontano. Eh, sì, sono assai importanti gli occhi, sono una specie di barometro. Ci vedi quello dal cuore duro, che può schiaffarti la punta dello stivale nelle costole, senza nessun motivo; e ci vedi quello che ha paura di tutto e di tutti. Ecco, proprio un lacché come questo tipo qui mi divertirebbe prendere a morsi nelle caviglie. — Hai fifa, eh? Se ce l’hai vuol dire che te la meriti… Tie’… grr… rrr… bau, bau!»

Pagina 6 | Pos. 87-88

Che cos’è? Salame! Ah, caro signore, se avesse visto come lo fanno, quel salame, non si sarebbe neanche avvicinato al negozio. Via, lo dia a me!»

Pagina 9 | Pos. 128-29

«Qui? Beniss… Un momento. Qui no: c’è il portiere. È molto più pericoloso d’uno spazzino, è quanto c’è di peggio al mondo. Odio i portieri, una razza più repellente dei gatti.

Pagina 31 | Pos. 473-76

Se lei tiene a digerire bene, le dò un buon consiglio: a tavola non parli né di bolscevismo né di medicina. E prima del pasto — per l’amor di Dio — non legga giornali sovietici». «Hmm… Ma non ce ne sono altri.» «E lei non ne legga nessuno. Vuole sapere una cosa? Ho fatto trenta esperimenti nella mia clinica, ebbene: i pazienti che non leggevano giornali stavano benissimo. Quelli che costringevo a leggere la Pravda perdevano peso.»

Pagina 40 | Pos. 605-13

Dopo aver apprezzato i vantaggi del collare, il cane fece la prima visita al reparto principale del paradiso, al quale fino a quel momento gli era stato categoricamente proibito l’accesso: cioè al regno della cuoca Dar’ja Petrovna. Tutto l’appartamento non valeva neanche due palmi del reame di Dar’ja. Ogni giorno sul fornello annerito e rivestito di mattonelle, la fiamma infuriava, scoppiettava, e il forno crepitava. Tra le rosse fiamme ardeva il viso di Dar’ja Petrovna; eterno tormento del fuoco e inestinguibile passione. Era lucido e unto; sull’acconciatura alla moda che copriva le orecchie e terminava in un crocchio di capelli chiari sulla nuca, splendevano ventidue brillanti falsi. Alle pareti erano appese pentole dorate. Tutta la cucina traboccava di odori, gorgogliava e sfrigolava nei recipienti chiusi… «Fuori!», strillò Dar’ja Petrovna. «Fuori, ladruncolo, vagabondo! Ci mancavi anche tu qui dentro! Adesso ti faccio vedere coll’attizzatoio, ti…» «Che fai? Ma che abbai?», adulava il cane strizzando gli occhi. «Ladruncolo, io? Non vedi il collare», e si avvicinò di fianco alla porta, infilandoci dentro il muso.

Pagina 55 | Pos. 837-39

L’essere pronuncia molte parole: «carrozza», «esaurito», «giornale della sera», «regalo per bambini», e tutte quelle imprecazioni che esistono solo nel lessico russo.

Pagina 56 | Pos. 846

«Le voci riguardanti la presenza di un marziano nel vicolo Òbuchov risultano del tutto infondate.

Pagina 57 | Pos. 861-65

Nello studio ha riso. Il suo sorriso è sgradevole e innaturale. Poi si è grattato la nuca, si è guardato intorno e io ho annotato una nuova parola, distintamente pronunciata: «borghesi». Ha bestemmiato. Lo fa metodicamente, ininterrottamente e in apparenza senza alcun motivo. Le sue bestemmie hanno un carattere fonografico; è come se le avesse udite nel passato, e avendole inconsciamente registrate nel cervello, ora le vomitasse a interi blocchi. Del resto, che diavolo, non sono mica uno psichiatra!

Pagina 82 | Pos. 1257

«A teatro non ci voglio andare», ribatté Pallini burbero, e si fece un segno della croce sulla bocca, ruttando.

Pagina 85 | Pos. 1289-91

«È stata quella là a darmi una sberla sul muso!», guaì Pallini. «La mia faccia non è mica un bagno pubblico!» «Gliel’ha data perché lei le aveva dato un pizzicotto sul seno», urlò Bormentàl’ facendo cadere un boccale.

Pagina 94 | Pos. 1428-33

Neanche lei è di origine proletaria, vero, carissimo?» «Io? Per carità. Mio padre era giudice istruttore a Vilna», rispose tristemente Bormentàl’, finendo il cognac. «Vede; malissimo. È una pessima eredità. Non si potrebbe immaginare nulla di più spregevole. Del resto, mi scusi, la mia è peggio ancora: mio padre era arciprete di una cattedrale. “Da Siviglia a Granada. Nella penombra silenziosa delle notti…” Già. Accidenti al diavolo.» «Ma, professore, lei è uno scienziato di fama mondiale. Come potrebbero toccarla, mi dica, a causa di…, mi scusi l’espressione, di questo figlio d’un cane?»

Pagina 96 | Pos. 1460-61

Ma perché farlo? Me lo dica lei, per favore: perché fabbricare artificialmente gli Spinoza quando una qualsiasi donnetta è capace di sfornarne uno in qualsiasi momento.

Pagina 103 | Pos. 1571-72

«Cosa fate con quei… gatti ammazzati?». «Pellicce, scoiattolo imitato», fu la risposta, «a credito per i lavoratori. Andranno a ruba.»

Pagina 110 | Pos. 1676-77

e infine Bormentàl’, semisvestito, che cercava pudicamente di nascondere il collo privo di cravatta.

Pagina 113 | Pos. 1721-22

E vero che m’hanno tagliuzzato la testa in lungo e in largo e chissà perché… ma passerà. E poi, chi deve guardarla?»

Cuore di cane: giudizio finale

La mia parte preferita è stata sicuramente l’inizio del romanzo, con Pallino invischiato in qualche cosa che… non solo non capisce, ma rifiuta anche di farlo! Quando Pallino diventa Pallini l’attenzione si focalizza più sulla satira della società sovietica e secondo me perde un po’ fascino.
Nella mia classifica statisticamente incomprensibile, Cuore di cane guadagna matematicamente quattro cuoricini. Non ho detto tre, non ho detto cinque, ho detto quattro, e quattro sia:

Non ho detto un cuore di cane Non ho detto due cuori Non ho detto nemmeno tre Quattro, ho detto quattro! Non cinque, quattro!

Obiettivi di lettura 2015: parziale

L’unica cosa da segnalare è che tutte le fonti che ho consultato classificano Cuore di cane come un romanzo di fantascienza. Non ci avevo pensato, e anche leggendo non m’è affatto sorto il dubbio, tuttavia gli esperimenti che portano il cane Pallino a trasformarsi in essere umano parlano chiaro… quindi devo azzerare il punteggio di 5 titoli non SF consecutivi.

30 librix x x10,00%
Libri di 10 autori mai lettix x20,00%
5 titoli non italiani o anglofonix20,00%
3 libri di cui non so nullax33,33%
5 titoli non SF consecutivi0,00%
Rileggere 2 librix50,00%
5 libri di autori italianix20,00%
3 titoli di autori esordientix33,00%
Libro in sospeso da un anno0,00%
Libro in un giornox100,00%
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Max
Max
2 anni fa

Lessi questo romanzo parecchi anni fa e l’apprezzai molto. Fa piacere che tutto sommato anche a te non sia dispiaciuto, ma non sono d’accordo quando dici che “l’attenzione si focalizza più sulla satira della società sovietica e secondo me perde un po’ fascino”, perché per me è proprio il contrario. Alcuni spunti relativi alla critica al regime comunista, infatti, secondo me meritano attenzione e giustificano l’affermazione di Filip Filipovič a Bormental secondo cui “il vero disastro è proprio che lui non ha più un cuore di cane ma un cuore di uomo. E dell’uomo più abbietto che ci si possa immaginare!”. Ti lascio qualche mia riflessione in merito a ciò.
Prima di tutto il nome del criminale Čugunkin da cui si prende il cervello per l’esperimento sul cane Šarik (letteralmente “palla di pelo”, Pallino in italiano) tradotto in italiano è “ghisa”, un riferimento sicuramente voluto a Stalin che ha assonanza col termine russo di “acciaio”, quindi un altro metallo. Il fatto che venga preso il cervello di un criminale condannato a morte fa tanto Frankenstein Junior (“A.B. qualcosa…”) e questo mi aveva fatto sorridere.
Quindi, in sostanza, al cane Pallino viene sostituito il cervello, una metafora del “lavaggio del cervello”, e inizia a parlare come un rivoluzionario russo. Il fatto che poi assuma il nome e il patronimico di Poligraf Poligrafovič è emblematico: il poligrafo è quello strumento volgarmente detto “macchina della verità”. Pallino diventa perciò “verità figlio della verità”, caratteristica tipica dei regimi che impongono idee senza dibattito spacciandole per verità.
La conclusione a cui arriva il professor Filip Filipovič è che in pratica non bisogna mai forzare la mano elevando chi è misero senza prima avergli dato una nobiltà d’animo: dando potere e inculcando la verità a un essere meschino, resta tale, in pratica ciò che sono diventati i funzionari del partito comunista sovietico. Non che la servitù della gleba fosse meglio, ma tra quella e il comunismo c’è un abisso…
Leggendo varie recensioni anche di gente importante, sembra invece che il romanzo sia più una critica alla scienza che alla società sovietica: il partito comunista aveva un’opinione più simile alla mia visto che nel 1926 il manoscritto venne sequestrato dai funzionari del partito, cui fecero seguito altre perquisizioni e altri sequestri (nel 1930 la commissione per il repertorio vietò addirittura la rappresentazione di tutte le sue opere teatrali), finché egli stesso si autodenunciò dichiarandosi a disagio nel vivere in patria. Dato il clima difficile di quegli anni, con alcuni intellettuali perseguitati e il suicidio del poeta Majakovskij, critico del regime, Stalin fu costretto a rassicurare lo scrittore di godere della sua stima offrendogli un posto di prestigio in un teatro della capitale.