Cliché

da | 10 Giu 2014

Sto partecipando da qualche tempo a un laboratorio settimanale di scrittura ricreativa, nel senso che è molto divertente. Detto così può sembrare poco serio, ma esiste forse qualcosa di più serio dell’unione di una penna, un quaderno, buona musica e un numero imprecisato di birre?
Risposta: probabilmente no.

Racconto breve

Ernest Hemingway diceva: scrivi da ubriaco, correggi da sobrio, ecco perché durante l’ultimo ritrovo – nel tentativo di contenere i danni – ci siamo autoimposti una serie di linee guida per venire incontro ai maggiori difetti della prosa di ognuno dei presenti, e più precisamente:

  1. Lunghezza ≈ 3 cartelle
  2. No storie tristi
  3. Trama consistente
  4. No ambientazione montana
  5. No parolacce
  6. Almeno un elemento fantastico

Vincoli affatto restrittivi, infatti non si può dire che da quella serata sia nata una corrente letteraria ben definita.

Per quanto mi riguarda ha visto la luce Bollente come l’inferno e forte come il diavolo ma dolce, come l’amore, un racconto dall’abito noir che però nasconde un cuore surreale.
Mi è piaciuto molto lavorare a un’ambientazione noir, volutamente caratterizzata da alcuni suoi cliché, dove però la trama segue vie inaspettate e mostra ciò che accade forse attraverso occhi edulcoranti, forse attraverso allucinazioni.

Ho anche rispettato tutti e sei i vincoli: circa tre cartelle, tra il serio e il brillante: per nulla triste, la trama è solida, ambientato in città, nessuna parolaccia e – riguardo l’ultimo punto – pur non essendoci Draghi Viola, anche il fantastico ha avuto il suo piccolo spazio.

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